La nostra storia prende vita in un piccolo paese di montagna. Non serve sapere di quale nazione, perché un posto come Swinton potremmo trovarlo ovunque. Isolato, dalle origini mitiche e appese a qualche racconto orale che, se si disperdesse nell’aria senza un orecchio a raccoglierlo, priverebbe il mondo di un piccolo e peculiare tesoro.

Cosa sappiamo di quel borgo, quindi? Conosciamo i ricordi d’infanzia che gli ultimi Discendenti custodiscono nelle loro memorie. Per un motivo o per un altro, Swinton si è spopolata. Gli ultimi abitanti sono morti. Era rimasta una manciata di loro. Vecchi e soli. I loro figli molto tempo addietro andarono altrove, cosicché la generazione successiva nacque distante da Swinton. 

Nessuno sa esattamente quando iniziò, ma i rapporti e gli incontri tra i Discendenti e gli Avi di Swinton si fecero più radi, fino quasi a scomparire. Forse a volte una lettera, o una cartolina, ma nulla di più. Succede quando si prendono strade diverse, che conducono lontano. Molto lontano. I fili che legavano gli ultimi nati a quella terra divennero come scie di profumo: invisibili, ma presenti.

Passarono gli anni fino ad arrivare ad oggi, e le cose che accaddero in mezzo potrebbero sembrare particolari, ma il tutto avvenne naturalmente e nessuno ci fece davvero caso. Molti degli ultimi Discendenti non smisero di frequentarsi, e anzi crebbero insieme, a piccoli gruppi, legandosi in Cerchie per qualche fortuito caso. C’è chi pratica nella stessa squadra di croquet o di scacchi, chi invece passa le sere a giocare di ruolo da tavolo, e ancora chi condivide la passione per qualche bizzarro animale, dalla formica ai dinosauri. 

Ecco, in questi gruppi di amici, legati da un luogo d’origine divenuto quasi leggendario, capita di discorrere di Swinton e di condividere gli ultimi ricordi dell’infanzia, di quando si recavano lì a trovare i nonni in quel paese bislacco. Una memoria che già in partenza è bizzarra, quando viene colta da chi è nell’età della meraviglia e dello stupore, cresce nel tempo e diviene un ricordo sfuocato ma carico di magia e di fiaba.

E così, il nipote che vide sua nonna fumare la pipa canticchiando una filastrocca, mentre un girasole illuminato dai primi raggi schiudeva i propri petali, è oggi un ragazzo che racconta nella sua cerchia di avere una strega come antenata, capace di far crescere frutta succosa o enormi fiori carnivori. In base alle esigenze.

“E perché proprio enormi fiori carnivori?”
Ha chiesto una volta un suo amico tra i presenti.

“Beh, era pur sempre una strega. E si sa che una megera ti fa scomparire anche solo se non le vai a genio, per capriccio. È probabile che quello fosse il suo metodo per sistemare le sue scaramucce con i vicini! Quindi stai attento a non farmi arrabbiare. Nelle mie vene ho lo stesso sangue!”.

Così ha risposto quel Discendente, per poi scoppiare in una fragorosa risata.

Ecco, quel che di Swinton si sa è un mosaico di ricordi di tal portata.

I Discendenti uno ad uno ricevettero una lettera che avvertì dell’imminente abbattimento dell’intero villaggio: un lussuoso resort con tutti i confort sarebbe nato al suo posto. La missiva invitava ognuno di loro a raggiungere Swinton un’ultima volta in una data precisa, per recuperare gli oggetti personali sopravvissuti alla morte degli ultimi Avi del borgo.

I Discendenti parlarono di questa lettera, ognuno nella propria cerchia, e decisero di ottemperare all’invito. Sarebbero tornati con curiosità alla ricerca delle proprie radici, ma anche con cordoglio perché quello sarebbe stato un ultimo addio.

Tu che stai leggendo questo testo probabilmente hai ricevuto la lettera di cui sto parlando.

Hai intenzione di fare questo viaggio? Cosa porterai di te a Swinton? E, soprattutto, cosa ti porterai via da quel posto? Seguirai le orme dei tuoi antenati, una volta scoperta la loro storia? Saprai distinguere cosa è stato reale e cosa è più simile ad una fiaba?

Delle varie descrizioni che circolano su Swinton, una raccoglie il consenso di tutti.

“Io ricordo che una volta il mio Avo mi disse che il borgo era diviso in quattro Sestieri. Erano una sorta di contrade che non raggruppavano i concittadini per lignaggio. Era l’attitudine personale a determinare il Sestiere di appartenenza, i cui membri erano uniti come quando si tifa la stessa squadra. Ed è lì che si potevano incontrare amici sodali alla stregua di fratelli e di sorelle, senza che il sangue fosse in comunione.

Questi quattro Sestieri si accendevano a festa ogni volta che capitava l’annuale Palio degli Inganni.

Era abitudine che gli abitanti di Swinton all’età di quattordici anni scegliessero – in base al carattere, alle inclinazioni, ai doni o ai difetti – a quale contrada appartenere e, una volta scelta, sarebbe stata quella per tutta la vita. Il mio Avo, ad esempio, era un fiero membro del Sestiere delle Piccate Lingue! Così si facevano chiamare quelli che grazie alla loro attitudine e al loro cervello sapevano farsi rispettare a dovere. Infatti il mio Avo era il sindaco di Swinton!

“Come fai proprio tu, che non sai farti rispettare neanche dal tuo gatto che continua ad usare il tuo letto come lettiera, ad essere suo Discendente?!”

“Finiscila! E fammi continuare…”

Primo Sestriere
Le Piccate Lingue

Tutte le anime ambiziose, scaltre, astute e capaci di avere polso hanno scelto la strada di questa contrada. E come biasimarli?
L’appartenere a questo gruppo assicurava loro ruoli di spicco nel paese. Come il Sindaco, per l’appunto. Ma anche borgomastro, sceriffo, giudice, tesoriere e persino capotreno, se mai un treno fosse passato da lì.

Questo Sestiere abbonda di autorevolezza e di saggezza, ma anche di scorbutica arroganza.
Le Piccate Lingue nel giorno del Palio degli Inganni vestono di azzurro e di blu per lo più, per ricordare i colori del cielo che sta in alto su tutto e su tutti.

Secondo Sestriere
I Cuori di Coccio

In questa contrada trovano ricetto tutti coloro che mettono al primo posto l’amore, con le sue declinazioni e implicazioni.
Generosità, coraggio e lealtà sono le principali virtù; ma queste, quando vengono gonfiate e portate all’estremo, si tramutano in difetti. Pertanto possiamo trovare in questo Sestiere sia un contadino che con bontà aiuta il prossimo offrendo un lauto pranzo, e sia una poveraccia in canna che ha sperperato tutti i suoi averi nell’organizzazione di feste dispendiose.

I colori in cui si riconoscono sono il vermiglio e il castano. Che poi, in fin dei conti, sono la stessa cosa: tutti i marroni sono diverse sfumature del rosso, il colore del cuore per l’appunto.

Terzo Sestriere
I Fiori di Zucca

Ci sono poi quelle menti creative ed estrose che passano il tempo a riflettere su cosa inventare e come farlo. C’è chi declama una poesia, e chi disegna con il carbone. Che siano bravi e talentuosi per davvero, questa è tutt’altra storia.

Loro ci credono, e questo è quel che basta per appartenere a questo gruppo, capace di prendere i propri rischi. Che poi sappiano superarli senza danni, beh, anche questa è tutt’altra storia.

Giallo e arancione sono le sfumature che amano sfoggiare per distinguersi dagli altri durante il Palio annuale, perché sono i colori più appariscenti e quindi, per loro, i più importanti.

Quarto Sestriere
I Quadri Acuti

Che cos’è l’acume? Non esiste una definizione univoca, tuttavia in questa contrada si trovano tutti coloro che con l’intelligenza hanno a che fare. Ci sono quelli vivaci nel capire la soluzione di un indovinello e quelli abbastanza svegli da escogitarne di nuovi. C’è anche chi di intelletto ne ha poco e per questo si affida alla fortuna, e chi ancora usa il fine pensiero per intessere un inganno. 

Sì, qui ci sono i furbi, ma anche i pigri che astutamente risolvono i propri affari confidando sull’altruismo di chi farà le cose per loro.

I colori che sfoggiano con fierezza nei giorni di festa sono il verde e il nero. Sono due tinte che insieme funzionano bene, e quindi possiamo dire senza remore che hanno fatto una bella scelta intelligente.

La Leggenda del
Palio degli Inganni

Tanto tempo fa, quando i corvi non avevano ancora imparato a volare, ci fu un’alba che diede alla morte il potere di vincere sulla vita, e alla rabbia il potere di comandare la morte. Un’alba dove storia e favola si fusero insieme, come la cera di due candele messe a bruciare troppo vicine.

Tutto cominciò il giorno in cui un povero neonato venne abbandonato alle porte di Swinton. Era piccolo e sgradevole alla vista. La comunità lo raccolse e venne battezzato con il nome Webber. Il piccolo crebbe con gli altri bambini del paese, ma a causa del suo aspetto i suoi compagni cominciarono a chiamarlo Obbrobrier. Molti lo deridevano e altri lo escludevano dai giochi. Nel piccolo Webber germogliò un rancore nero e denso.

Un giorno alcuni bambini lo avvicinarono e gli proposero una dimostrazione del suo coraggio. “Nel bosco c’è un pozzo. Dovrai calarti giù. Se avrai fegato e se supererai la prova potrai giocare per sempre con noi!”.

Webber non vedeva l’ora, e desideroso com’era di avere finalmente degli amici, accettò. La notte stessa lui e gli altri bimbi si inoltrarono nel bosco. I raggi della luna attraverso le fronde di un salice piangente illuminavano un vecchio pozzo in rovina. Webber venne calato con una corda nel freddo buco che sembrava non avere fine, ma una volta arrivato in fondo, i bambini mollarono la corda e se ne andarono di corsa. Lo lasciarono lì, soddisfatti del loro tiro mancino.

Webber iniziò a chiamare i suoi coetanei, e quando comprese di essere stato vittima di un orribile scherzo, sebbene offeso e arrabbiato, si mise l’anima in pace, aspettando la mattina del giorno dopo. Ai primi raggi del sole attese il ritorno dei suoi aguzzini, con la speranza che avrebbero messo un freno a quel gioco. L’ottimismo però lasciò spazio alla disperazione perché nessuno, grande e piccino, si presentò per farlo uscire dal pozzo.

Tre giorni scivolarono su altrettante notti e al piccolo Webber sembrò che nessuno si preoccupasse della sua sparizione.
Ma la fame è un ragno, e in quel buco freddo e umido iniziò a sentire le sue zampe camminare nella sua pancia. 
Con solamente la forza per piangere Webber continuò a ripetere  “Maledetti, quando uscirò da qui ve la farò pagare!”. Dapprima con foga, poi con un flebile sussurro man mano che le forze venivano meno.

“Vi mangerò tutti!” e con queste ultime parole Webber spirò. Solo, arrabbiato e dimenticato. 

Fu a quel punto che la Morte Affamata, acquattata nel bosco, ascoltò quell’ultimo lamento e pose il suo sguardo tenebroso su Swinton. 

Quando per la prima volta la Morte Affamata colpì Swinton seminò terrore e distruzione, portandosi via quattro bambini e promettendo un suo ritorno. I cittadini da quel giorno vissero con angoscia la riapparizione di quel flagello. Esattamente l’anno dopo, nello stesso giorno, la Morte Affamata uscì dal bosco e comparì nuovamente per rapire altri quattro bambini. Successe ancora il terzo anno e anche il quarto.

I paesani di Swinton decisero di reagire a difesa dei loro figli. Per non farsi più cogliere impreparati si divisero in Sestieri e si organizzarono per poter fronteggiare questo tremendo nemico. Quando per la quinta volta il mostro si presentò alle porte del borgo, fu il Sestiere dei Fiori di Zucca ad attenderlo per primo: i suoi membri mascherarono e truccarono quattro zucche da piccoli infanti in fasce. “Prendi questi nostri piccoli figli e non tornare più”. 

Offrirono i quattro fagotti alla Morte Affamata. Questa prese il suo bottino e se ne andò via. L’avevano gabbata!
Nel bel mezzo della notte tutti i cittadini di Swinton udirono un mostruoso lamento provenire dal bosco e capirono che l’inganno fu scoperto.

Il giorno dopo la Morte Affamata si presentò per reclamare ciò che gli era dovuto e trovò i paesani del Sestiere dei Cuori di Coccio ad attenderla: si presentarono con quattro paioli pieni di polpette di pane. “Le abbiamo cucinate con la tenera carne dei nostri figli” dissero, e così la Morte Affamata si portò via quelle pietanze, credendo alle loro parole. 

Nella notte un urlo ancora più forte si udì provenire dal bosco, e ciò fece intendere che anche il secondo inganno non funzionò.

Il terzo giorno fu la volta del Sestiere dei Quadracuti. La leggenda narra che costoro avessero ordito un imbroglio usando il fuoco, ma qualcosa andò storto e le fiamme si sparsero per il borgo, costringendo i paesani a domare l’incendio con secchi pieni di acqua. Quando la Morte si presentò vide che tutti erano alle prese con quel disastro tanto da non accorgersi della sua venuta. Chissà se fu per pena o per diletto che il Mostro decise di prendere indisturbato un solo bambino. “Questo è più che sufficiente per oggi. Domani tornerò e prenderò il resto”.

Di quel povero pargolo non si seppe più nulla, poiché nemmeno i suoi resti vennero trovati nel bosco.

Il quarto giorno arrivò e con lui anche la Morte Affamata, così come aveva promesso. Fu la volta dell’ultimo Sestiere, le Piccate Lingue, a tentare il proprio sotterfugio. Quel che loro fecero per davvero è un mistero che la leggenda non rivela. Si racconta soltanto che a turno le Piccate Lingue sussurrarono qualcosa all’orecchio della Morte.

Questa ascoltò. Soltanto all’ultimo tese un braccio per una stretta di mano vicendevole. E ci fu. L’ultima Piccata Lingua consegnò uno strano sacchetto bello gonfio e pesante. L’Affamata lo afferrò e disse: “Per quest’anno non reclamerò il mio bottino. Forse tornerò il prossimo. O forse il prossimo ancora. Parlate di me quindi a tutti i vostri discendenti affinché siano pronti a concedermi ciò che chiederò, se mai dovessi fare ritorno qui a Swinton!”

Quella sera nessun bambino venne toccato e l’orribile flagello scomparve tra le fronde degli alberi.
Per molti anni a seguire, nel giorno in cui era solita presentarsi, le contrade organizzarono nuovi brogli, pronti a fermare il rapimento dei loro figli, ma la Morte Affamata non si presentò mai più.

E così, con il passare del tempo, quel giorno si trasformò in una festa: il Palio degli Inganni! Ogni anno i quattro Sestieri si sfidavano e, attraverso prove e gare, insieme rimembravano la loro leggenda. Qualcuno asserisce che in quelle occasioni gli animi si scaldavano così tanto da arrivare agli insulti e rievocare un’antica offesa: Obbrobrier!

Che sia una storia vera?
Che sia solo una leggenda?

Nessuno può dirlo. Sta a voi crederci o meno.

Il Pozzo dei Desideri

C’è un’altra leggenda di Swinton, che mi raccontava il mio Avo. Non so quanto ci fosse di vero, quanto di irreale  e quanto di magico. Fatto sta che voglio credere che sia stato proprio così, come me lo narrava lui durante le nostre passeggiate.

Ero già grandicello, quell’età in cui l’infanzia si confonde con l’adolescenza. Tornassi indietro tenderei meglio l’orecchio, perché quello che sto per rivelarvi mi fu raccontato l’ultima volta che io misi piede in quel posto… almeno fino ad oggi.

C’era un pozzo del quale non si vedeva la fine. Era distrutto, le transenne impedivano l’accesso, ma mio nonno quella volta mi fece scavalcare e mi diede una moneta. “Caro nipote, magari tu ci riesci. Guarda il fondo e gettala esprimendo un desiderio”. E mentre lo diceva mi sollevò in maniera così traballante su quel cumulo di macerie che ebbi paura di cadere. Guardai comunque giù e quello che vidi fu solo oscurità. Quasi per fargli un piacere gettai la moneta, ma la mia mente era talmente sopraffatta che non riuscii ad avere altri pensieri se non la paura. Finsi davanti a mio nonno di avere fatto esattamente quello che mi stava chiedendo, e la nostra passeggiata proseguì. Vorrei tornare a quel giorno perché quello che lui mi raccontò in seguito, mentre mi stringeva la mano, camminandomi accanto, mi fece rendere conto di aver perso un’occasione.

“Quando ero un ragazzino e avevo più o meno la tua età, mio nonno e mio nonno ancora prima di lui fondarono questo piccolo borgo. Tutti compresero la necessità di costruire un pozzo che fosse una riserva di acqua per i mesi più caldi e un sostentamento per quelli più freddi. Ma, per quanto loro si sforzassero di cercare il punto adatto per la costruzione, non furono mai in grado di trovare il luogo giusto. Un giorno dal bosco uscì un coniglio: era bianco come la neve, dritto sulle zampe posteriori come un signorotto, e teneva con quelle anteriori un orologio. Si, proprio così, un lucido e grosso orologio! “Qua! Scavate qua, presto, in fretta, proprio qua, senza discutere! Il mio Signore è proprio così che vuole sia fatto! E fidatevi, perché ogni suo dire è legge e sarete ricompensati”.

Così si racconta blaterasse, indicando un punto ben preciso del terreno, per poi sparire alla veloce rituffandosi nella siepe dalla quale era uscito. Gli abitanti prima si guardarono perplessi e poi, chi per un motivo chi per un altro, cominciarono a scavare, seguendo le istruzioni di quella bizzarra creatura. E per fortuna lo fecero! Si scoprì, infatti, che quel pozzo aveva in sé della magia: alcuni giuravano di averla sentita, altri di averla vista, qualcuno raccontò di essere stato da Lei sfiorato proprio mentre era lì affacciato.

No… non aver paura adesso: questa non è una storia di terrore, tutt’altro! Essa narra di desiderio e ardore. In quel pozzo c’era una Donna la cui voce usciva dall’oscurità più profonda. Quella, in cambio di un pegno e di una moneta, era in grado di realizzare ogni tua speranza segreta. Un soldo, un desiderio. E tutto ciò non importa se sia vero, ciò che solo conta è che tu ci creda. Io  ho giurato fedeltà a quel pozzo, e a quella Voce di Donna. Forse è proprio per questo che gli sono stato accanto anche dopo che tutto è andato perduto. Forse è proprio per questo che sono uno dei pochi abitanti rimasti qua in paese. Io a quella Voce di Donna chiesi amore, e lei mi donò tua nonna.”

Quel giorno non andò avanti a raccontare, i suoi occhi si velarono di ricordi e di malinconia. E io non ebbi la forza di chiedere oltre. 

Ho un solo rimpianto: non aver avuto il coraggio di domandare qualcosa a quell’oscurità.

Chissà se avrei sentito la sua Voce…

Il Lancio
delle Scarpe

È nella tradizione di Swinton che, alla fine di ogni Palio, gli abitanti siano soliti lanciare le loro scarpe, annodate saldamente tra di loro tramite le stringhe, sopra i fili appesi all’ingresso del paese. Una scarpa ogni abitante, legata indissolubilmente a quella di qualcun altro. Che sia questo per buon augurio, per sancire una nuova amicizia o per suggellare la nascita di un nuovo amore, non ci è dato sapere. Ciò che sappiamo, e che per loro era veramente, è la litania che si usava durante questa tradizione:

Un Buon Lancio per Liete Novelle e Tanta Fortuna.

Così venivano affidati a quei fili tutte le possibilità, la fiducia ed ogni fantasia sul futuro. E quei fili, non si sa per quale magia, resistevano ad ogni intemperia, sollevando al cielo quelle scarpe e le speranze di ogni cittadino. Per un lunghissimo anno sembravano attendere solo il momento in cui sarebbero stati abbassati. Per un lunghissimo anno attendevano un solo momento: l’inizio di un nuovo palio dove, sfiniti, avrebbero restituito i sogni alla terra e ai loro proprietari, rimanendo nudi e pronti ad essere nuovamente agghindati.

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